Smartphone Style

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Cosa e' La Nomofobia?

La nomofobia, anche detta sindrome da disconnessione, descrive la paura di rimanere sconnessi dal contatto di rete di telefonia mobile. Il soggetto che presenta questa sindrome cerca il contatto continuo ed esasperato con l’apparecchio tecnologico (come lo smartphone), che gli consente di avere la sensazione di tenere sotto controllo la situazione costantemente. I motivi possono essere i più disparati, dal senso di sicurezza fornito dall’essere rintracciabili in ogni momento alle esigenze lavorative di chi deve essere reperibile praticamente 24 ore su 24. Tra i rischi di chi soffre di nomofobia c’è quello di innescare un meccanismo di dipendenza patologica nella quale non si riesce più a fare a meno di una connessione internet e di un cellulare. La paura di essere disconnessi può portare ad esperire vissuti di ansia e depressione e anche la sola idea di essere senza smartphone genera malessere, irrequietezza ed aggressività. Le caratteristiche psicologiche e comportamentali che distinguono la dipendenza, da una ponderata e controllata attività di utilizzo dello smartphone, possono essere:

L’uso regolare del telefono cellulare ed il trascorrere molto tempo su di esso;
L’avere sempre con sé uno o più dispositivi ed il caricabatterie, per evitare di restare senza batteria;
Il mantenere sempre il credito;
L’esperire vissuti di ansia e nervosismo al solo pensiero di perdere il proprio portatile o quando il telefono cellulare non è disponibile o non utilizzabile;
Il monitoraggio costante dello schermo del telefono, per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate, o della batteria, per controllare se il telefono è scarico;
Il mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno);
L’andare a dormire con cellulare o tablet a letto;
L’uso dello smartphone in posti poco pertinenti.


La nomofobia come dipendenza patologica?

Nonostante nel nome compaia la sigla “fobia” e che i sintomi siano molto similari a quelli dell’ansia, uno studio condotto da ricercatori del Panic and Respiration Laboratory, dell’Università Federale di Rio de Janeiro (2010) sembra indicare che la Nomofobia sia da considerare una dipendenza patologica piuttosto che un disturbo d’ansia. I ricercatori avrebbero infatti sperimentato che un approccio terapeutico mirato a ridurre l’ansia non sia efficace nel trattamento della nomofobia, ma che i soggetti affetti da questo tipo d psicopatologia rispondano meglio ad un trattamento specifico per le dipendenze patologiche (King A.L. at all., 2010). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive la dipendenza patologica come:

Quella condizione psichica e talvolta anche fisica, causata dall’interazione tra una persona e una sostanza tossica, che comporta risposte comportamentali e da altre reazioni, e che determina un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione.

Le nuove dipendenze, o dipendenze senza sostanza, si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti disfunzionali e anomali quali il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da TV, da internet, lo shopping compulsivo, le dipendenze dal sesso e dalle relazioni affettive, le dipendenze dal lavoro e alcune devianze del comportamento. Lo studioso Davis R.A. (1999) ha utilizzato un modello cognitivo-comportamentale per spiegare lo sviluppo e il mantenimento di un disturbo connesso alla nomofobia, il Disturbo da abuso della rete telematica o l’Internet Addiction Disorder (IAD). Secondo questo approccio, l’IAD deriva da cognizioni disadattive unite a dei comportamenti che intensificano o mantengono la risposta disadattiva. Fattore chiave è il rinforzo che l’individuo riceve dall’evento. Se il rinforzo è positivo, la persona sarà condizionata a compiere più frequentemente la medesima attività al fine di raggiungere una reazione fisiologica simile. Come in ogni processo di condizionamento, gli stimoli associati con lo stimolo primario diventano rinforzi secondari e agiscono rinforzando la patologia (Şenormancı at all., 2012). Se si fa ricadere la Nomofobia all’interno delle dipendenze, alla stregua dell’IAD, allora il trattamento dovrebbe essere quello attualmente utilizzato per essa.

Pericolo nomofobia: chi sono i soggetti a rischio?

Ulteriori importanti studi che indagano la nomofobia sono stati portati avanti da Francisca Lopez Torrecillas, docente presso il dipartimento di personalità e di valutazione psicologica e trattamento delle dipendenze dell’Università di Granada, la quale ha svolto una ricerca su campo con giovani adulti tra i 18 ei 25 anni, scoprendo che la maggior parte delle persone colpite da questa condizione sarebbero giovani adulti con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali, i quali sentono il bisogno di essere costantemente connessi e in contatto con gli altri attraverso il telefono cellulare e che di solito mostrano noia quando si effettuano altre attività ricreative derivati da un uso patologico di telefoni cellulari (Lopez Torrecillas F., 2007).
Gli adolescenti appaiono i soggetti prevalentemente a rischio di sviluppare questa nuova forma di dipendenza patologica, ma non bisogna sottovalutare l’impatto che la tecnologia può avere sulle nuove generazioni. Sono sempre più i genitori preoccupati perché i propri figli, anche in età infantile, passano sempre più tempo con computer, smartphone, tablet e giochi elettronici. Sono i bambini cosiddetti digitali, termine coniato per indicare la generazione di bambini cresciuta nell’era del computer, tra smartphone, tablet, ADSL e Internet mobile, touchscreen e app . Una piccola, ma significativa ricerca del 2012, commissionata da AVG, celebre casa di software che realizza antivirus e altri programmi per la sicurezza del computer, ha portato alla luce che oltre il 50% dei bambini tra i 2 e i 5 anni di età, sa già come giocare con un gioco per tablet di livello base, mentre appena l’11% di loro sa come allacciarsi le scarpe. Il pericolo non è tanto per l’utilizzo precoce di questi dispositivi, i quali possono essere anche utilizzati come un’ arma per sviluppare le capacità cognitive del bambino, quanto piuttosto il prolungato utilizzo di smartphone e tablet che potrebbe portare ad un affaticamento eccessivo della vista e al rischio che il piccolo si isoli psicologicamente creandosi un mondo parallelo popolato solo da personaggi non reali, perdendo così il contatto e l’interesse verso le cose che lo circondano.

I pediatri della SIPPS (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale), riuniti in convegno a Caserta, hanno parlato chiaro sottolineando il bisogno di creare linee guida per limitare il più possibile l’uso dei telefonini ai bambini, evitandone totalmente l’uso prima dei 10 anni e limitandone l’uso dopo tale età, un po’ come i nostri genitori facevano con la vecchia e cara televisione.

Il telefono cellulare se usato in modo appropriato e intelligente può assolvere a tre importanti funzioni psicologiche: regola la distanza nella comunicazione e nelle relazioni, gestisce la solitudine e l’isolamento assumendo quasi il ruolo di antidepressivo multimediale e permette di vivere e dominare la realtà regalando l’idea di poter essere presenti e capaci di fermare lo scorrere del tempo con uno o più scatti (Di Gregorio, 2003). L’utilizzo sbagliato ed improprio del telefonino mobile potrebbe provocare non solo enormi divari fra le persone, ma anche portarle alla nomofobia: a chiudersi in se stesse, sviluppare insicurezze relazionali o alimentare paura del rifiuto, a sentirsi inadeguate e bisognose di un supporto anche se esterno e fine a se stesso (Lacohèe H. at all., 2003). Pertanto, è importante auto istruirsi ad un rapporto equilibrato con il telefonino, concedendosi ogni tanto una qualche pausa dalla sua presenza confortante e rassicurante, ricordandosi che forse una vita realmente vissuta è più gratificante di una vita solo immaginata.

Approfondimento

E' possibile consultare un approfondimento dedicato dal Corriere della Sera,
cliccando su questo link

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